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L'olio di Palma e la Nestlè

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Messaggio  gabriel Gio Apr 01, 2010 8:20 am

La lezione del KitKat
Greenpeace denuncia la Nestlé colpevole di usare olio di palma indonesiano per le terribili merendine e mettere così a rischio foreste e oranghi. Per un pugno di cibo-spazzatura


Molti appassionati conosceranno già la storia. Ma la riassumo lo stesso: sul sito facebook di Greenpeace è apparsa una denuncia-campagna per salvare le foreste indonesiane e l’habitat degli oranghi. L’associazione ambientalista rivela che nelle merendine al cioccolato KitKat è contenuto dell’orrendo olio di palma proveniente da ambienti a rischio del sudest asiatico. Dopo la denuncia sono spuntati su Facebook e su Twitter diversi gruppi di protesta che appoggiano la campagna di Greenpeace contro Nestlé. E la multinazionale si è difesa dicendo che solo poco più dell’1 per cento dell’olio di palma usato nei prodotti viene dall’Indonesia e che a venderlo è una certa Sinar Mas Multiharta, per arginare le proteste immediatamente depennata dalla lista dei fornitori del colosso svizzero.

A parte certi toni un po’ granguignolleschi (il dito dell’orango sanguinante sgranocchiato al posto della barretta di KitKat), va detto che Greenpeace ha sempre delle buone idee. Fino a che si parla del costo ambientale e etico del cibo spazzatura senza esempi concreti di ciò che accade in quelle catene agro-industriali, difficilmente riusciamo a comprendere la portata drammatica delle nostre scelte alimentari.

Che l’olio di palma sia dannoso per la salute è scontato. Che consumare alimenti prodotti chissà dove e da chissà chi sia un colpo al cuore per il pianeta anche. Lo sappiamo e cerchiamo di preoccuparcene mentre facciamo la spesa. Ma è con storie come quella degli oranghi indonesiani sacrificati per produrre una barretta che nuoce alla salute che si va al cuore del problema.

Non solo: la faccenda dell’olio di palma indonesiano palesa quanto sia inutile spesso il danno che arrechiamo all’ambiente. C’è una scala negli abusi: deforestare un pezzo di foresta può, nell’immediato, salvare la vita a una o molte famiglie; bruciare combustibile fossile è indispensabile per non morire di freddo e far funzionare le nostre fabbriche o le nostre auto; bucare una montagna può significare progresso economico e posti di lavoro. Ognuno di noi ha una posizione etica diversa e si comporta di conseguenza in questa scala di abusi: alcuni saranno più indulgenti con i nostri bisogni, altri meno. Ma, francamente: chi se ne frega del Kitkat?

Il cibo spazzatura è inutile, fa male. Non solo: è un’offesa alla Madre Terra. Proviamo a pensarci quando infiliamo l’euro nella macchinetta che lo dispensa.
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Messaggio  priscilla Gio Apr 01, 2010 3:42 pm

frutti della palma, molto facilmente deperibili, dopo il raccolto vengono sterilizzati tramite il vapore, in seguito vengono snocciolati, cotti, pressati e filtrati. L'olio che se ne ricava è di colore rossastro per via dell'alto contenuto di beta-carotene, solido a temperatura ambiente e ha un caratteristico odore di violetta; il sapore è dolciastro. Dopo un ulteriore processo di raffinazione può assumere un colore bianco giallino (la bollitura in pochi minuti distrugge i carotenoidi). È usato come olio alimentare, per farne margarina e come ingrediente di molti cibi lavorati, specie nell'industria alimentare. È uno dei pochi olii vegetali con un contenuto relativamente alto di grassi saturi (come anche l'olio di cocco) e quindi semi-solido a temperatura ambiente

( tratto da wikipedia)



Articolo di Pietro Raitano tratto dal numero 94 della rivista Altraeconomia: L’informazione per agire

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L’olio di palma è dappertutto, dalle merendine alle centrali elettriche. Ma le piantagioni tolgono terra all’agricoltura e provocano la deforestazione. Potete anche non crederci, ma quella che sta mangiando vostro figlio non è una merendina, è un pericolo per il pianeta. Perché dentro la briosche c’è olio di palma. Sugli ingredienti c’è scritto “oli vegetali”, ma, potete scommetterci, è olio estratto dai semi di una palma coltivata con ogni probabilità in Indonesia, o Malesia, o Papua Nuova Guinea.
Il consumo dell’olio di palma aumenta esponenzialmente, il mercato tira, i palmeti vengono piantati al posto delle foreste pluviali di mezzo Sud-est asiatico. Risultato: tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra liberati nell’atmosfera. Ma non solo: piantagioni di palma stanno degradando la zona delle torbiere indonesiane, uno straordinario magazzino naturale di CO2. Col rischio che miliardi di tonnellate custodite nel sottosuolo si riversino nell’aria. Già oggi quasi la metà dei 22 milioni di ettari di torbiere indonesiane è stata eliminata e prosciugata: è la terza causa di emissioni di gas serra del pianeta, dopo gli Usa e la Cina. La situazione è destinata a peggiorare: oltre che a fare merendine e altri prodotti alimentari, l’olio di palma è particolarmente indicato per l’utilizzo energetico, per diventare biodiesel o combustibile per centrali elettriche.

::

Le stime dicono che la domanda raddoppierà entro 20 anni, e triplicherà entro il 2050. Intanto nuove piantagioni sorgono dall’Africa all’America Latina. In tutto questo l’Italia gioca un ruolo di primo piano. Con oltre 40mila tonnellate (10mila in più rispetto al 2006) il nostro Paese si è confermato nel 2007 terzo importatore europeo di olio di palma, soprattutto da Papua Nuova Guinea e Indonesia, un po’ meno dalla Malesia (dati Istat). L’85% è finito all’industria alimentare, e infatti la palma è dappertutto. C’è olio di palma in tutte le bottiglie rosse di olio per friggere, nella “croissanteria” e nelle margarine, nel Kitkat e nelle Pringles. Usano olio di palma la maggior parte delle friggitorie che vendono patatine e fritti vari e tutta la panificazione pronta, quella da scaldare tipica dei bar. Il più grande importatore (e raffinatore) di olio di palma è la Unigrà di Conselice (Ra), che oggi raffina oli e grassi e conto terzi produce margarine, semilavorati in polvere, cioccolato e surrogato, creme vegetali. Al secondo posto, la Ferrero, quella della Nutella. Altri grandi consumatori sono Barilla e Bauli, questa specie dopo l’acquisizione della Casalini, uno dei maggiori produttori italiani di merendi
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